La storia

Con il preciso scopo di accogliere e valorizzare gli straordinari ritrovamenti archeologici del sito di Campovalano, destinati a ridefinire il fondamentale contributo degli insediamenti italici nel corso della Preistoria, nel 1989 è stato aperto al pubblico il Museo Archeologico Nazionale di Campli.
Splendida e prestigiosa è la sede, in pieno centro storico.  L’ingresso è attraverso un porticato dove è possibile ancora ammirare le pregevoli finestre bifore e il portale gotico che un tempo introduceva alla Sala Capitolare del Monastero di San Francesco a Campli, di fondazione trecentesca. Il museo è stato allestito al primo piano in un’ala, appositamente restaurata e nuovamente sottoposta a restyling illuminotecnico pochi mesi dopo il passaggio al Polo Museale dell’Abruzzo. [toggle title=”scopri di più”] Di recente, a cura del Comune di Campli, proprietario dell’immobile, sono stati condotti interventi di risanamento per riparare i danni del sisma, che ne avevano comportato la chiusura il 30 ottobre 2016.

Riprendono così dal 2018 i laboratori e le attività didattiche del museo, affidate a una associazione di giovani archeologi, con un nuovo piano di comunicazione, realizzato in collaborazione con l’Università di Teramo.   Con l’ausilio di ricostruzioni grafiche e ambientali, il percorso espositivo illustra l’evoluzione culturale di una etnia Pretuzia di ambito Medio-Adriatico o Piceno, attraverso diverse sezioni dislocate in una dozzina di sale.
Queste sono precedute da uno spazio appositamente   dedicato alla paleoarcheologia, che  esibisce i crani e le ossa che sono stati oggetto di indagine per determinare l’evoluzione della specie fin da epoche molto remote. Difatti i resti umani analizzati offrono preziose informazioni sul sesso, le malattie, i traumi, le
malformazioni e l’età della morte, permettendo di Imparare dagli scheletri anche l’antropologia dentaria.[/toggle]

La geografia

Ubicata a 450 metri sul livello del mare, alle falde dei Monti Gemelli, lontana venti chilometri dall’Adriatico,
la pianura di Campovalano, estesa oltre duecento ettari, ha restituito tracce di vita e di civiltà risalenti finanche all’Età del Bronzo (XXIV – XI secolo a.C.), con le più antiche tombe caratterizzate da grandi tumuli racchiusi da circoli di pietre. I reperti hanno fatto comprendere che questa piana ricca di sabbie, ciottoli, argille, frutto di depositi alluvionali,   inizialmente era poco utilizzata per l’agricoltura, e molto di più per la caccia, attestata dalle armi del paleolitico. Soltanto nell’età del bronzo l’area di Campovalano diventa ottimale per l’attività agricola e pastorale.[toggle title=”scopri di più”]

Fino ad oggi nella estesa necropoli  sono state scavate oltre seicento sepolture, con una attività quasi esclusivamente concentrata nell’arco dei  trent’anni che corrono  dal 1967 al 1997.  Ai primissimi
rinvenimenti segnalati già sul cadere dell’Ottocento, a opera di studiosi locali, seguì difatti una lunga stasi. Nel 1963 un ritrovamento occasionale da parte di un agricoltore che utilizzava il nuovo tipo di
aratro a trazione meccanica, stimolò l’avvio nell’anno successivo delle prime indagini sistematiche a cura di Adriano La Regina, continuate poi per sette anni su impulso del Soprintendente Valerio Cianfarani. Le
ricerche proseguirono con le campagne di scavo dirette da Vincenzo D’Ercole, dietro incarico di Giovanni Scichilone, dal 1979 al 1984. A seguito dell’acquisto nel 1990 di una vasta area della necropoli da parte
della Comunità Montana Gran Sasso e Monti della Laga, si aprì una nuova fase di esplorazione dell’insediamento di Campovalano, con gli eccezionali risultati che oggi si ammirano nel museo ulteriormente accresciuto rispetto all’allestimento iniziale.[/toggle]

Il museo

Qui si narra una cultura sviluppatasi in seno a un popolo nomade e in continuo movimento. Campovalano è l’unico
sito dell’Abruzzo ad aver restituito precise testimonianze dell’uso del carretto, quasi interamente in legno e
simile nella forma alle successive bighe utilizzate dai Romani.
La prima sezione “Campovalano prima degli italici” illustra la vita quotidiana nel corso dell’età del Bronzo. Sorprendente è la ricostruzione della tomba di una bambina (IX sec. a.C.), rinvenuta in località Coccioli.[toggle title=”scopri di più”]
Le sale successive propongono reperti di eccezionale qualità, dimostrando come a partire dal VIII secolo a. C. gli abitanti di questa area  abbiano vissuto una stagione molto felice e prospera. I segni della ricchezza sono particolarmente evidenti nei corredi dei figli dell’aristocrazia e nell’eccezionale sepolcro di un Re, qui ricostruito con tutti i suoi reperti. Si ammirano notevoli esemplari di vasellame ceramico, ad impasto simile al bucchero, dalle forme assai fantasiose,  decorato con fregi incisi e talvolta impreziosito da elementi a tutto tondo.  Si possono cogliere le differenze sociali e comprendere quali siano state le attività legate alla sussistenza. Questi nostri antenati adoperavano, utensili in bronzo e in ferro per gli usi agricoli e domestici, come bollitori e colini utilizzati durante la lavorazione del latte e la produzione di ricotte e formaggi. Assieme alle armi, di varie forme per la difesa e per l’attacco, attestano esperienze precoci e assai valide nella lavorazione dei metalli, raccontando l’evoluzione del modo di combattere nel corso di alcuni secoli.
Anche l’universo femminile è illustrato nei molteplici aspetti. Una ricca adolescente venne sepolta con accanto tutte le sue gioie: collane, pendagli e persino piccoli vetri antropomorfi. Non mancano poi aghi, rocchetti, fusi; significativo è soprattutto il cinturone in cuoio e bronzo con cui le veniva cinta la vita. E se il corredo della donna era rappresentato da una fibula, in quello maschile costante presenza è il rasoio che veniva posizionato sul suo petto.  Infine nello spazio dedicato alle “novità” è esposta la dotazione di una giovane aristocratica; tra i raffinati gioielli spiccano una collana di grani in lamina d’oro di cultura magno-greca e i bracciali d’argento di tradizione celtica.[/toggle]